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Quando è la passione a guidare le azioni umane, la possibilità che ha la creatività di realizzarsi è massima.

Quest'affermazione può ben servire da premessa nel far comprendere quanto può essere il fattore dislessia determinante nel campo dell'apprendimento, non solo per le cose già bene o male acquisite dal punto di vista scientifico e legislativo, ma anche in senso culturale più ampio.

Ovvero, la dislessia può inserirsi come contraddizione nel sistema scuola, per far emergere i limiti e le carenze della didattica tradizionale, evidenziando quanto essa sia asfittica, rigida e poco malleabile alle trasformazioni e alle esigenze di conoscenza dei singoli.

Sbagliano quanti, genitori, insegnanti o istituzioni, credendo che il problema risieda solo nell'adozione o meno degli strumenti compensativi e dispensativi. E che, quindi, il dato tecnico, puramente meccanico sia sufficiente al superamento del problema. Certo, sono da elogiare quei soggetti che hanno compreso almeno l'importanza di simili strategie. Ma la natura del dislessico è da ricercare ben oltre l'uso dello strumento asettico, separato dai contenuti della didattica e del percorso educativo.

Capire quale sia l'universo del dislessico, vuol dire essere consapevoli del fatto che una didattica con contenuti precostituiti, cioè già pronta, da imporre come un prodotto preconfezionato e indiscutibile, è del tutto inutile all'apprendimento. Ma lo è solo per il dislessico?

E qui si ritorna al punto iniziale: al concetto appunto che lo studio come sofferenza e sacrificio sia l'unico possibile, quando invece l'esperienza umana ci insegna tutto il contrario. Si ha maggiore possibilità di creare, di apprendere e, in ultima istanza, di vivere, quando è l'amore, la passione, l'atteggiamento che gli antichi greci chiamerebbero erotico, che porta alla piena realizzazione di ogni individuo e al bene di tutta la società.

Per questo sarebbe vitale, che si cominciasse a concepire un nuovo metodo di insegnamento. Il dislessico di questa cosa ne necessita in maniera determinante, perché ogni individuo DSA deve avere il diritto ad un suo percorso personalizzato che non sia solo l'ennesima burocratica presa d'atto di alcune strategie. Però non è solo questo. Spesso la semplice esistenza di eccezioni fa emergere anche altre questioni e contraddizioni. 

Il filosofo francese Michel Foucault, nel suo famoso saggio "Sorvegliare e punire", partendo dall'analisi storica e filosofica della prigione, prende in considerazione tutte le altre istituzioni totali e tra questa anche la scuola, e dimostra come una certa "disciplina" sia funzionale a preparare lo studente a certe esigenze di potere e sopraffazione proprie della società, in cui i corpi sono solo delle cose.

Un 'intuizione fondamentale per capire che la scuola "maestra di vita", così come concepita nel senso comune, sia solo un grosso equivoco, fondato sulla riproduzione di meccanismi sociali malati e pedagogicamente dannosi, del tutto in sintonia con i distorti e vuoti modelli culturali esterni, che a parole si dice di voler combattere. Alla luce di ciò, non è un caso anche il dilagare di un fenomeno quale il bullismo.

Ancora oggi, nella maggior parte delle nostre scuole è egemone la convinzione per cui premio, punizione, sofferenza e sacrificio siano elemento essenziale per l'insegnamento e l'educazione scolastica. Convinzione di fatto avallata, per motivazioni tutt'altro che nobili, dalle altre istituzioni che sovraintendono al sistema scolastico.

Tutto questo deriva dal presupposto culturale che il dovere e il senso di responsabilità possono essere inculcati solo attraverso la costrizione. Mentre, è proprio questo tipo di medicina a rappresentare chiaramente il male che si pretenderebbe di curare. 

Una società che non riesce a trasmettere con gioia e piacere il sapere e un senso esistenziale autentico, solidale e partecipato, che sia questo, si, veramente responsabile, è una società condannata al fallimento, triste e violenta, nella quale è la sopraffazione a regolare i meccanismi sociali ed economici. 

Si dice giustamente che ogni DSA è un individuo unico, così come sono unici tutti gli individui del genere umano. La contraddizione, l'elemento di eccezione, introdotto dal dislessico, può essere, di conseguenza, determinante. Perché quella sua altra intelligenza, tutt'altro che patologica, dovrebbe rendere chiaro che ogni individuo ha bisogno di un particolare percorso didattico, educativo e di attenzione. Un percorso che però abbia come fondamento che la scuola non può e non deve più essere un luogo di sofferenza e di costrizione.

Diversi insegnanti lo hanno già capito e, a volte pagando anche di persona, adottano percorsi culturali che mettono al centro, non i programmi ministeriali e il nozionismo, ma ogni loro singolo discepolo, andando incontro a loro con dolcezza e dedizione.

Non è poi affatto secondario il ruolo che nella riproduzione di tali meccanismi culturali giocano di fatto i genitori, la maggior parte dei quali è presa tra l'indifferenza nei confronti dei contenuti della didattica e l'aperta ostilità, o, come minimo, la diffidenza nei confronti di ogni innovazione non solo tecnologica. 

Ci si trova di fronte ad un appiattimento acritico sull'esistente, delegando alle forme e ai contenuti educativi e culturali tradizionali la formazione dei propri figli, pretendendo magari solo un prodotto finito buono per svoltare l'anno scolastico. Così come se la scuola fosse un supermercato, indifferenti totalmente all'essenza dell'insegnamento e cioè al fatto se i loro figli imparino davvero o meno.

La nostra piccola grande rivoluzione dovrebbe essere quella di indicare al resto della società, insegnanti, genitori e operatori delle istituzioni, in modo chiaro e netto che un'altra cultura è possibile e assolutamente necessaria, per dislessici e non. Una scuola in cui ogni bambino, ogni ragazzo, ogni studente diventi protagonista e non resti un soggetto alienato, passivo e spesso privo di cultura.

Ernesto Anselmo Cioffi, genitore, dislessico e presidente de L'ACUILOИE ADAR



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